ORDINANZA N. 313
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 234, 468, secondo comma, e 495, secondo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa l'8 maggio 1992 dal Pretore di Bergamo - sezione distaccata di Clusone nel procedimento penale a carico di Pedrini Luigi, iscritta al n. 728 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 marzo 1993 il Giudice relatore Mauro Ferri.
Ritenuto che il Pretore di Bergamo - sezione distaccata di Clusone - ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 234, 468, secondo comma, 495, secondo comma, del codice di procedura penale "nella parte in cui tali norme, nel diritto vivente, comportano che ai fini della prova del reato, sia necessario dapprima documentare analiticamente per iscritto tutte le attività connesse all'accesso, all'insediamento, al campionamento, al prelievo ed alle analisi; ed in seguito ridocumentare nel verbale di udienza la deposizione del teste su quelle medesime circostanze di fatto";
che ad avviso del remittente il combinato disposto delle norme impugnate contrasterebbe:
- con l'art. 76 della Costituzione: per violazione del principio di massima semplificazione del processo, indicato nelle direttive nn. 1 e 103 dell'art.2 della legge di delega n. 81 del 1987;
- con l'art. 3 della Costituzione: per ingiustificata disparità di trattamento tra la posizione del pubblico ministero e la posizione della difesa "che può produrre documenti senza neppure indicare (come testi) coloro che quei documenti ebbero a redigere";
- con l'art. 24 della Costituzione: per violazione del "diritto di difesa dello Stato-ordinamento rispetto alla commissione di reato";
- con l'art. 97 della Costituzione: in quanto detta attività "destinata semplicemente a far aumentare il materiale cartaceo processuale" non sarebbe coerente con l'esigenza di buon andamento della pubblica amministrazione;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità - sotto il profilo del difetto di rilevanza - o comunque per la manifesta infondatezza della questione.
Considerato che il provvedimento di rimessione, certamente di non agevole comprensione, accenna, sul punto della rilevanza, all'eventualità di una revoca dell'ammissione di una prova testimoniale asseritamente sovrabbondante;
che, d'altro lato, non risulta comprensibile quale pronuncia auspichi il remittente, essendo assolutamente non chiaro nè il tipo di intervento che questa Corte dovrebbe operare sulle norme impugnate, nè quale disciplina in concreto debba risultarne;
che tale incertezza del thema decidendum e del petitum comporta anche l'impossibilità di comprendere esattamente quale rilevanza la questione abbia sul provvedimento di revoca adottando;
che, inoltre, con evidente contraddizione il remittente lamenta un obbligo di "ridocumentazione" che le norme impugnate comporterebbero ai fini della prova del reato, in quanto l'unica fonte di conoscenza della regiudicanda da parte del giudice del dibattimento può essere solo quanto contenuto nel fascicolo del dibattimento, nel quale, secondo la stessa prospettazione del giudice a quo, non v'è alcuna documentazione di accertamenti precedentemente compiuti;
che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 234, 468, secondo comma, 495, secondo comma, del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli artt. 76, 3, 24, e 97 della Costituzione dal Pretore di Bergamo - sezione distaccata di Clusone - con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/06/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Mauro FERRI, Redattore
Depositata in cancelleria il 09/07/93.